IL BIG BANG – Cosa c’era prima?

Prima del Big Bang

LE INCHIESTE DI COELUM: “Cosa c’era prima del Big Bang?” Ha senso, oppure no, chiedersi cosa c’era prima della “esplosione” che ha dato il via all’espansione dell’universo? Un’inchiesta tra i cosmologi per conoscere la loro personale visione di ciò che poteva esserci prima dell’inizio del tempo…

Un famoso scienziato tenne una volta una conferenza pubblica su un argomento di astronomia. Egli parlò di come la Terra orbiti attorno al Sole e di come il Sole, a sua volta, compia un’ampia rivoluzione attorno al centro di un immenso aggregato di stelle noto come la nostra galassia. Al termine della conferenza, una piccola vecchia signora in fond o alla sala si alzò in piedi e disse: «Quel che lei ha raccontato sono tutte frottole. Il mondo, in realtà, è un disco piatto che poggia sul dorso di una gigantesca tartaruga». Lo scienziato si lasciò sfuggire un sorriso di superiorità prima di rispondere: «E su cosa poggia la tartaruga?» «Lei è molto intelligente, giovanotto» disse la vecchia signora. «Ma ogni tartaruga poggia su un’altra tartaruga!»

(Stephen Hawking, Dal big bang ai buchi neri)

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La teoria cosmologica del Big Bang descrive l’evoluzione dell’universo come lo “stiramento” dello spazio-tempo a partire da una condizione di densità e di curvatura infinite. Secondo questa visione, 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, l’intero tessuto spazio-temporale era concentrato in quello che matematicamente corrisponde a un singolo punto, che si è dilatato fino a raggiungere gradualmente le dimensioni attuali.

La nostra conoscenza di ciò che è successo dopo il Big Bang è maggiore di quanto si pensi: abbiamo un’idea abbastanza precisa, sebbene incerta e incompleta in alcuni punti, del perché il nostro universo appare proprio così come lo osserviamo. Ma la teoria del Big Bang non dice una parola su che cosa ci fosse “prima” (un “prima” rigorosamente virgolettato). Se il cosmo ha avuto un inizio, che cosa c’era prima di quell’inizio? E in definitiva, da che cosa è nato l’universo? Alzi la mano chi non se lo è mai chiesto, almeno una volta nella vita…

13,8 miliardi di anni fa, pochi secondi prima della creazione del nostro Universo… «Ok, tutto a posto. Accendiamo questo Large Hadron Particle Collider e vediamo che succede!»

Qui si entra in un territorio decisamente spinoso: non solo mancano ora come ora le conoscenze per affrontare rigorosamente la questione, ma non c’è nemmeno consenso attorno all’idea che la domanda abbia davvero senso da un punto di vista scientifico. Molti cosmologi rifiutano nettamente la domanda, considerandola una pura speculazione. Il motivo è semplice: se è vero che il tempo, lo spazio e la materia sono davvero nati con il Big Bang, allora non esiste un “prima”. Sarebbe come chiedersi che cosa c’è più a Nord del polo Nord.

Ma il caso è tutt’altro che chiuso, e come vedremo non sarà affatto così semplice risolverlo. Se infatti non ha senso chiedersi che cosa ci fosse “prima” del tempo, siamo così sicuri che il tempo si sia originato proprio con il Big Bang? Secondo alcune teorie cosmologiche, alcune delle quali stanno riscotendo un certo seguito nella comunità scientifica, la storia potrebbe essere andata diversamente. In un contesto di questo tipo, la domanda sul “prima” avrebbe un senso e sarebbe degna di essere discussa (a patto, naturalmente, che le teorie sul “prima” siano in grado di produrre previsioni falsificabili). Non parliamo poi delle implicazioni filosofiche, metafisiche e persino religiose che potrebbe avere una scoperta in tal senso…

Albert Einstein in tenuta balneare fotografato nel 1939 durante una vacanza a Long Island. Proprio dalle equazioni della sua Relatività Generale, pubblicata nel 1916, il belga Georges Lemaître formulò nel 1927 la cosiddetta teoria del Big Bang (come la chiamò in senso dispregiativo Fred Hoyle nel 1949). Nel 1931 Lemaître andò oltre e suggerì che l’evidente espansione del cosmo necessita di una sua contrazione andando indietro nel tempo, continuando fino a quando esso non si possa più contrarre ulteriormente, concentrando tutta la massa dell’universo in un singolo punto, “l’atomo primitivo”, prima del quale lo spazio e il tempo non esistono.

Qualcuno tenta di rispondere alla domanda affermando che quello che abbiamo sempre chiamato “universo” non è affatto tale, essendo soltanto un frammento infinitesimale di un sistema molto più vasto e complicato chiamato multiverso, che possiamo immaginare come un insieme di universi, cioè di regioni spazio-temporali distinte regolate da leggi fisiche a sé stanti. Una struttura, quella del multiverso, dove potrebbe essersi già ripetuto e ripetersi ancora quell’evento singolare che 13,8 miliardi di anni fa ha dato origine al nostro universo.

Secondo altri non c’è un multiverso ma un singolo universo, la cui evoluzione però è ciclica e “torna” ripetutamente a una fase di singolarità, che noi chiamiamo appunto Big Bang.

Insomma, le sfumature sull’argomento sono infinite, e noi, ingolositi dalla possibilità di contattare velocemente le migliori menti del pianeta, abbiamo voluto mettere alla prova la pazienza di amici e colleghi affrontando il problema da un punto di vista più che altro intuitivo ed emozionale. In pratica, abbiamo posto a tutti la seguente domanda:

«Nella impossibilità di dare un significato fisico a concetti come “prima” e “nulla”, lei pensa di poter riuscire a comunicare ai lettori di Coelum la sua personale visione del problema? Ovvero il modo in cui la sua parte emozionale, più che quella logica, tenta di risolvere questo apparente paradosso? In definitiva, per dirla brutalmente: Che cos’è l’essere? Perché, invece del nulla, esiste qualcosa?»

Ed ecco le prime risposte, pubblicate in ordine di arrivo. Seguiranno le altre nei prossimi numeri. I concetti più ostici citati nelle risposte saranno approfonditi in un articolo di chiusura in cui tenteremo anche di trarre delle conclusioni.  Buona lettur

Sean M. Carroll

Sean M. Carroll è cosmologo e fisico teorico al Caltech (California Institute of Technology). Si occupa, tra le altre cose, di relatività generale, energia oscura e teoria quantistica dei campi; è un esperto degli aspetti termodinamici del Big Bang e della freccia del tempo. È contributor per svariate riviste di divulgazione scientifica americane (tra cui Sky&Telescope, Nature, Seed) e autore di due libri di successo: Dall’eternità a qui (Adelphi, 2011) e La particella alla fine dell’universo (Codice, 2013).

Nessuno sa cosa c’era prima del Big Bang, né se effettivamente abbia senso parlare di “prima del Big Bang”. Potrebbe essere stato l’inizio del tempo stesso, o potrebbe rappresentare un momento particolarmente “energetico” nella storia di un universo eterno.

Ciò che sappiamo è che la relatività generale – la teoria di Einstein sulla gravità e lo spazio-tempo – predice una “singolarità” di densità infinita nell’universo primordiale, ed è proprio tale singolarità che noi chiamiamo Big Bang. Ma sappiamo anche che la relatività generale, nonostante il suo enorme successo come teoria scientifica, non può essere la teoria fisica definitiva, perché è incompatibile con la meccanica quantistica. E gli effetti quantistici sono senz’altro importanti quando la densità della materia è così enorme come nel caso del Big Bang.

Quindi, quando diciamo «la relatività generale predice una singolarità», quello che intendiamo veramente è «la relatività generale predice la sua stessa insufficienza nel descrivere il primissimo universo». È decisamente un segno del fatto che abbiamo bisogno di una teoria migliore.

È possibile che una teoria più completa spieghi un giorno se – e perché – il tempo abbia avuto un istante iniziale e l’universo un inizio. È possibile anche che ci fosse una fase precedente a quella dell’universo che osserviamo, e ciò che chiamiamo Big Bang sia in realtà il raccordo tra le due fasi. In questo scenario, il tempo potrebbe estendersi infinitamente nel passato. Potremmo trovarci in uno degli infiniti cicli che l’universo attraversa, oppure il nostro universo potrebbe far parte di un multiverso più grande, in cui il concetto di tempo andrebbe generalizzato. Attualmente non sappiamo ancora, ma i fisici stanno lavorando duramente per capirci qualcosa.

 

Amedeo Balbi

Amedeo Balbi Astrofisico all’Università di Roma Tor Vergata si divide tra ricerca e divulgazione. Si occupa di problemi di interfaccia tra la fisica fondamentale e la cosmologia, tra cui lo studio dell’universo primordiale e l’indagine sulla natura della materia e dell’energia oscura. Autore di articoli scientifici e libri di divulgazione, dal 2006 cura il blog Keplero (www.keplero.org) “di divulgazione scientifica – astrofisica e cosmologia, ma non solo – con un occhio alla cultura pop, e (sporadiche) divagazioni personali”.

Intanto, oggi possiamo dire di avere un quadro fisico ragionevolmente solido e accurato di come la regione di spazio-tempo che chiamiamo “universo osservabile” si sia evoluta nei circa 13,8 miliardi di anni passati, e quali siano state le sue condizioni fisiche durante questa evoluzione. È già un traguardo notevole, ma ovviamente possiamo continuare a fare meglio, e quindi è del tutto lecito (e scientifico) chiedersi se e cosa ci fosse prima. Ciò che è empiricamente accessibile in modo diretto si ferma a circa 400 mila anni dopo il momento che, con una estrapolazione del migliore modello cosmologico di cui disponiamo attualmente, chiamiamo “Big Bang”. È, in linea di principio, possibile risalire in modo indiretto ancora più indietro ma, in ogni caso, raggiunto l’istante “iniziale”, le condizioni fisiche che presumiamo dovevano essere presenti non possono essere descritte dalla fisica che conosciamo al momento.

Arrivati a questo punto si va nell’ipotetico, e si aprono grosso modo due scenari. Da un lato ci sono i modelli di universo che prevedono che prima del Big Bang non ci sia nulla. È possibile (lo hanno fatto ad esempio Hartle e Hawking) costruire modelli di universo completamente autocontenuti, in cui l’universo inizia col Big Bang senza che però questo dia luogo a un confine temporale, eliminando così il problema di caratterizzare lo stato precedente (il “prima”). Dall’altro ci sono modelli che prevedono che il Big Bang sia un evento avvenuto all’interno di un sistema fisico preesistente: in questo insieme di modelli ricadono gli scenari inflazionari, i modelli ciclici ecc. Non c’è al momento evidenza empirica nell’una o nell’altra direzione, ma entrambe le strade sono logicamente percorribili senza incorrere in contraddizioni. Non so se e quando riusciremo a dirimere la questione scientificamente, ma se mi si chiede quale sia la mia preferenza o la mia opinione “filosofica”, posso dire che credo che l’idea di “nulla” sia problematica e mal definita, e che non abbia alcuna motivazione empirica, nel senso che non sperimentiamo niente del genere nella realtà (qualunque “nulla” con cui hanno avuto a che fare i fisici si è sempre dimostrato in realtà un “qualcosa”).

Ho quindi molti dubbi sul fatto che sia una categoria che possa avere qualcosa a che vedere con la descrizione del mondo naturale. Per questo, credo che sia del tutto possibile che la risposta alla domanda “perché esiste qualcosa piuttosto che nulla” sia semplicemente che la domanda stessa è mal posta, dal momento che presuppone che possa esistere il nulla, cosa su cui c’è da essere quantomeno scettici.

Per quanto mi riguarda, non ho nessun problema a immaginare che “qualcosa” esista da sempre (indipendentemente dal fatto che riusciamo o riusciremo a comprenderlo) e che il nostro universo sia un sottosistema transitorio emerso all’interno di questo “tutto” più vasto.

Michele Maggiore

Michele Maggiore Presidente della Sezione di Fisica del Dipartimento di Fisica Teorica dell’Università di Ginevra, dove insegna teoria quantistica dei campi. Il suo campo di ricerca si colloca al confine tra la gravità quantistica e quella classica, in particolare su temi cosmologici, onde gravitazionali e fisica dei buchi neri. È autore di testi universitari sulla teoria quantistica dei campi e sulle onde gravitazionali.

Anzitutto, secondo me la frase di partenza che spazio, tempo e materia sono nati con il Big Bang, dall’espansione di un singolo punto, è un po’ ambigua ed è causa di confusione (si espande verso cosa lo spazio, se c’è solo un punto?). Secondo me è più corretto presentare le cose in questo modo: nel regime di validità della relatività generale lo spazio è descritto da una qualche varietà che è spazialmente infinita. Queste coordinate, che in cosmologia si chiamano “comoving”, non rappresentano la vera distanza fisica tra due punti (cioè la distanza misurata con la propagazione di segnali luminosi). Se estrapoliamo all’indietro la soluzione delle equazioni di Einstein (che governano la relatività generale), si trova che la dimensione dell’universo al Big Bang era zero e la curvatura dello spazio-tempo infinita. Questo significa che usciamo dal regime di validità della relatività generale e dovrà probabilmente entrare in gioco la gravità quantistica. In ogni caso, non c’è mai un singolo punto che si espande verso qualcosa; i punti sono già tutti lì, fin dove ha un senso utilizzare le nozioni di punto.

Impostato in questo modo, il problema di capire il Big Bang perde forse un po’ del fascino filosofico ma diventa ben definito dal punto di vista fisico: si tratta di capire cosa succede alle alte curvature. Per questo in via di principio servirebbe una teoria di gravità quantistica, ed è possibile che servano concetti del tutto nuovi per entrare in questo territorio.

Un’alternativa per approcciare il problema del pre Big Bang, formulata da Gabriele Veneziano, si colloca nel contesto della teoria delle stringhe e non richiede concetti radicalmente nuovi. Secondo questa teoria è possibile che un universo con bassa curvatura evolva verso una singolarità futura; questa potrebbe essere una fase di pre Big Bang. Fatte le dovute correzioni per evitare la singolarità, si spera che queste si raccordino con una fase di “post Big Bang” compatibile con l’universo che osserviamo oggi. In realtà questa è più che una speranza: in due articoli che pubblicai vari anni fa (uno con Gasperini e Veneziano, uno con Foffa e Sturani, che all’epoca erano miei dottorandi), mostrai che questo in effetti avviene usando correzioni tipiche di certe teorie di stringa. In questo scenario io non vedo niente di particolarmente metafisico.

Naturalmente è possibile che questo tipo di approccio non sia quello giusto, e che sia necessario usare una teoria di gravità quantistica, cosa che a oggi non sappiamo fare, e che probabilmente richiederà concetti fisici nuovi.

Non sappiamo quali saranno questi concetti. È possibile che lo spazio-tempo continuo della relatività generale debba venir rimpiazzato da qualcos’altro di più opportuno. Ma allora concetti come “prima” e “nulla” diventerebbero mal definiti: staremmo cercando di applicare nozioni come il tempo classico e lo spazio classico a un regime dove non si applicano più. È possibile, quindi, che la domanda non abbia un senso fisico una volta formulata in uno scenario teorico migliore di quello disponibile attualmente.

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A sinistra, la relatività generale prevede che all’origine del tempo, e cioè al momento del Big Bang, tutta la materia presente nel nostro universo doveva essere concentrata in un unico punto, una “singolarità” a densità e curvatura dello spazio-tempo infinite. Al giorno d’oggi comincia però a diventare prevalente tra i cosmologi l’idea che se la relatività prevede il raggiungimento di valori infiniti, allora ciò significa che non è una teoria adatta a descrivere il Big Bang, dato che l’infinito nel mondo fisico non esiste. Da qui tutta una serie di modelli (a destra) che sostituiscono la “singolarità” adimensionale con una “sfera primordiale” a densità finita, magari inseriti in un contesto di continuità con universi precedenti. Certo, anche così non si risponde alla domanda su cui si basa l’inchiesta, ma semplicemente si sposta il problema “più in là”.

Roger Penrose

Roger Penrose è un fisico teorico, un cosmologo, matematico e filosofo della scienza inglese. Professore emerito alla Oxford University, è considerato uno dei maggiori fisici matematici viventi. I suoi contributi alla cosmologia e alla fisica teorica spaziano dal campo dei buchi neri (su cui ha lavorato con Stephen Hawking) alla teoria dei twistor, dalla cosmologia ciclica conforme all’ipotesi di Weyl. Tra i riconoscimenti ricevuti spiccano la medaglia Eddington (1975), il premio Wolf (1988) e la medaglia Dirac (1989). Tra i suoi libri pubblicati in Italia ricordiamo La strada che porta alla realtà (Rizzoli, 2005).

L’opinione di quasi tutti i cosmologi contemporanei sembra accordarsi con l’idea che il Big Bang fosse l’inizio di tutto. Tuttavia, negli ultimi anni ci sono stati alcuni interessanti spunti di riflessione: particolarmente notevoli quelli di Gasperini e Veneziano, e di Steinhardt e Turok.

Per quanto riguarda la mia opinione personale, prima dell’estate del 2005 avevo una visione simile a quella secondo cui il Big Bang fu l’inizio assoluto; oggi invece sostengo la teoria della “cosmologia ciclica conforme” (CCC). Secondo questa teoria, la storia dell’universo consiste di una successione di cosiddetti “eoni”, ognuno dei quali comincia con un Big Bang (ma senza una successiva inflazione) e termina con un’espansione esponenziale, in accordo con quanto si osserva oggi sull’espansione accelerata dell’universo; il Big Bang che dà inizio a ogni eone sarebbe una continuazione diretta della precedente espansione esponenziale dell’eone precedente. A differenza dei modelli di Gasperini-Veneziano e Steinhardt-Turok, nella CCC non c’è una contrazione al termine di ogni eone: la sua espansione continua a ritmo esponenziale fino al suo infinito futuro!

La cosa difficile da capire sulla CCC è proprio questa: in ogni eone l’universo si espande “da zero a infinito”, ma l’infinito futuro di ogni eone coincide esattamente con il Big Bang dell’eone successivo. Questo processo anti-intui­tivo è possibile grazie alla scomparsa della massa – ovvero, delle masse a riposo delle particelle – negli estremi iniziale e finale dei due eoni. Senza massa a riposo non è possibile nessuna misura del tempo, e pertanto nessuna misura dello spazio.

Oggi disponiamo di orologi straordinariamente precisi, come quelli atomici, ma il loro funzionamento dipende in fondo dalla presenza di una massa a riposo, che deriva dall’unione delle due formule più importanti del XX secolo: E = mc2 ed E = hf. Qui f è una frequenza, quindi la massa di una particella determina la sua frequenza attraverso la sua energia: ogni particella con una massa ben definita, pertanto, è a tutti gli effetti un orologio perfetto. Se le masse di tutte le particelle andassero a zero, si perderebbe completamente il concetto di durata e di distanza, che tuttavia sono richiesti dalla relatività generale di Einstein. In loro assenza, ciò che rimane è chiamata “geometria conforme” (da qui deriva la terza C nella sigla CCC!).

Ora, appena dopo l’inizio del nostro eone, quando la temperatura era di gran lunga superiore alla cosiddetta “temperatura di Higgs”, le particelle non avevano massa a riposo, dunque nel nostro universo valeva la geometria conforme (intervalli di tempo brevi e lunghi erano indistinguibili, così come distanze grandi e piccole). Secondo la CCC, questo succede anche alla fine di ogni eone, quando l’espansione accelerata dell’universo produrrà una fase molto fredda nel futuro remoto di tale eone (una sorta di “meccanismo di Higgs inverso”). La CCC richiede che la geometria conforme alla fine di ciascun eone combaci esattamente con la geometria conforme del Big Bang dell’eone successivo. Il raccordo tra le due deve essere “morbido”, in modo da assicurare la continuità tra gli eoni.

Per quanto riguarda le prove osservative di questa teoria, la più diretta è nella radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB). Un’analisi che condussi nel 2013 con Gurzadyan mostra la presenza di particolari cerchi concentrici nella CMB (che i cosmologi attribuiscono a fluttuazioni quantistiche espanse dall’inflazione).

Una parte della mappa della radiazione cosmica di fondo costruita in base ai dati rilevati dal satellite WMAP. Roger Penrose afferma che la prova a sostegno della sua teoria chiamata “Cosmologia Ciclica Conforme” sarebbe contenuta proprio nella radiazione di fondo, evidenziata da anomalie concentriche come quella mostrata in figura. Tali anomalie, secondo il cosmologo inglese, sarebbero i residui materiali degli universi precedenti.

Secondo la CCC, questi segnali sarebbero l’effetto di eventi colossali avvenuti nell’eone precedente, ovvero collisioni di buchi neri supermassicci, che potrebbero accadere durante gli incontri tra galassie, come quello che molto probabilmente accadrà tra la nostra galassia e quella di Andromeda tra qualche miliardo di anni. Ogni collisione di buchi neri supermassicci produrrebbe enormi quantità di energia sotto forma di onde gravitazionali (ovvero increspature dello spazio-tempo) che raggiungerebbero l’infinito futuro di ogni eone e si trasformerebbero, all’ingresso nell’eone successivo, in lievi perturbazioni nella distribuzione della materia oscura. Queste perturbazioni avrebbero un effetto sulla temperatura osservata nella nostra CMB proprio nella forma dei cerchi concentrici che effettivamente abbiamo osservato.

La CCC offre una spiegazione differente da quella fornita dal gruppo di ricerca di BICEP2 nel marzo di quest’anno, riguardo ai modi B osservati nella CMB, secondo cui essi sarebbero dovuti a onde gravitazionali primordiali in accordo con certe versioni dell’inflazione. Secondo la CCC, questi andrebbero interpretati come l’effetto di campi magnetici esistenti nell’eone precedente al nostro.

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